Egitto - Fosfenismo

FOSFENISMO
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Egitto

EGITTO

Tra le popolazioni che praticarono un culto solare non possiamo non menzionare gli antichi egizi, nel cui pantheon brilla potente il neter del Sole Ra. Per quanto apparentemente politeista, la civiltà egizia è in realtà profondamente monoteista, con il riconoscimento di un'unica divinità solare principale di cui i diversi neter (generalmente e in modo impreciso tradotto con "divinità") sono un aspetto o una funzione. Il loro sistema potrebbe in parte essere paragonato a quello cattolico in cui al Dio unico sono affiancati i Santi, parecchi dei quali dedicati ad una precisa "funzione" (ad esempio santa Lucia, patrona degli occhi). Con una maggiore precisione potremmo dire però che i neter costituiscono gli elementi chimici di un'unica molecola, il dio Unico.
Anche il superficiale giudizio che vuole gli Egizi adoratori di animali, poiché parecchi neter sono raffigurati con corpo umano e testa animale o, più raramente, il contrario, è assolutamente erroneo e ad una analisi più approfondita appare evidente che l'animale di volta in volta rappresentato simboleggia una precisa funzione. Se oggi volessimo rappresentare con un'immagine il concetto di lentezza utilizzeremmo una lumaca, e una volpe per la furbizia, senza suscitare lo scandalo di nessuno.

Il Sole rappresentava per gli egizi la divinità principale, talmente importante da essere impersonato da più di un neter. Una celebre frase dei testi sacri egizi cita testualmente "Io sono Kepri al mattino, Ra a mezzogiorno, e Atum la sera", indicando con questo i diversi aspetti del sole nell'arco della giornata, portatori di caratteristiche diverse.
Kepri, lo scarabeo sacro, il cui nome significa "trasformazione, evoluzione, divenire, prendere forma", è il sole del mattino, il sole dell'alba. Ra, raffigurato da un disco solare generalmente rosso, è il sole pieno e bruciante del mezzogiorno, mentre Atum è il sole del tramonto. Ciò che è meno noto è che esiste anche un quarto aspetto del sole, quello notturno, rappresentato da Osiride.
Osiride, figlio di Geb, neter della Terra, e Nut, neter femminile del Cielo, fa parte dell'enneade eliopolitana, ovvero delle nove divinità del pantheon di Eliopoli che esplicitano la nascita del mondo (cosmogonia) a livello metafisico. Le altre cosmogonie descritte nella loro cultura (l'Ogdoade, la triade tebana con Amon, Mut e Konshu e la triade di Menfi con Ptah, Sekmet e Nefertum) rappresentano "manifestazioni" sempre più concrete e materiali del processo cosmico del divenire.
Eliopoli, nome greco che significa città del sole, il cui nome originario era Iunu, era uno dei centri principali del culto egizio, dedicato alle divinità solari Atum e Ra. Oggi i suoi resti si trovano alla periferia del Cairo.


ENNEADE ELIOPOLITANA
Le pratiche rituali egizie si svolgevano ogni  giorno nei templi. Dalla documentazione che ci è pervenuta sappiamo che  quotidianamente, al sorgere del sole Kepri, la statua del dio veniva  estratta dal naos, il sancta sanctorum dove veniva conservata, per  essere esposta ai raggi dell'astro diurno. La statua veniva profumata,  incensata, adornata, e poi ritirata nuovamente nel naos.
Non  conosciamo invece le pratiche eseguite dai sacerdoti, ma è presumibile  che anche nel loro caso il sole fosse il protagonista. In tutti i templi  è infatti presente un'area rituale a cielo aperto. Cercheremo nel  seguito di scoprire qualcosa di più.

Il culto di Osiride, divinità dei morti
Osiride,  sposo della sorella Iside, divenne ben presto il simbolo e la  rappresentazione del defunto, come si evidenzia dalla lettura del Libro  dei Morti, nome con cui si designano una serie di papiri ritrovati in  numerose tombe.

 


Usir (Osiride)

La definizione di "Libro dei Morti" fu data per la prima volta dallo studioso prussiano Richard Lepsius nel 1842. Gli egizi lo chiamavano invece "Formule per uscire nel giorno". Questo Libro raccoglie quasi 200 preghiere, formule e invocazioni in cui il defunto si presenta come "l'Osiride" che pronunciando appunto l'invocazione più opportuna riuscirà a guadagnarsi la vita eterna nell'aldilà. Il defunto "Osiride", se a conoscenza di queste formule, diventa "giustificato", ovvero, con una traduzione letterale "giusto di voce" (Ma-khru). Gli egizi credevano infatti nella sopravvivenza dell'anima dopo la morte, anima che doveva essere preparata ad affrontare tutti i pericoli e le prove che l'avrebbero aspettata nell'aldilà per raggiungere infine l'unione con il Cosmo. Correva però anche il rischio che la sua anima, il Ba, perisse definitivamente subendo la "seconda morte"; di qui l'importanza fondamentale che il defunto conoscesse le formule del "Libro dei Morti", che venivano pertanto trascritte su papiri che lo accompagnavano nella tomba.

Ma la lettura di un altro Libro fondamentale della cultura egizia, "Il Libro di ciò che è nel Duat" (Duat = aldilà) ci fornisce un'altra indicazione molto importante: Osiride è anche l'iniziato, cioè colui che deve affrontare ancora in vita le esperienze proprie del mondo sottile. Questo libro, noto anche come "Il Libro degli Inferi" non lascia adito a dubbi. Parecchi dei dodici capitoli che lo compongono (I, II, VII e XII) terminano infatti con frasi che descrivono la grande utilità di conoscere e soprattutto di compiere ancora in vita, sulla Terra, le cose descritte in essi. Tra l'altro il termine utilizzato per "utile" è "Akh" con un chiaro riferimento a questioni di ordine spirituale, visto che lo stesso termine Akh significava anche la parte più elevata dei corpi sottili.
Si nota quindi uno stretto parallelismo tra lo stato di morte e lo stato iniziatico.
Il Libro, che si trova dipinto in numerose tombe della Valle dei Re, si compone di dodici capitoli, uno per ciascuna ora della notte, e racconta il "viaggio" che compie il Sole, sotto diverse forme, nei luoghi dell'aldilà. Il Sole, che non è altro che l'Iniziato, compie il suo viaggio su una barca ed è accompagnato da diversi personaggi, di interpretazione non sempre facile. Dopo aver attraversato i dodici "gironi" (arrit) della notte e dopo aver affrontato diversi nemici e mostri terrificanti, arriva alla XII ora, l'ora dell'alba, dove (ri-)nascerà sotto le sembianze di Kepri per illuminare un nuovo giorno.

Il "Libro dell'AmDuat"
Aldilà di un'interpretazione più o meno letterale e strettamente legata alla mitologia e all'iconografia egiziane, questo libro può essere considerato un vero e proprio manuale di istruzioni per raggiungere ancora in vita gli stati di coscienza che rendono possibile la conoscenza delle leggi e della realtà del mondo sottile. Se fosse semplicemente un racconto del viaggio del Sole nel periodo di tempo in cui non è visibile in cielo, cioè nella notte, non ci sarebbe una così grande insistenza nel ricordare il vantaggio e l'utilità che si possono ottenere sulla Terra "conoscendo" i segreti che vi sono espressi.
Naturalmente non è un libro di facile lettura, e le traduzioni di cui disponiamo sono spesso oscure e di significato poco chiaro. Purtroppo la traduzione di un testo iniziatico non è questione facile, tanto più che i traduttori di tutto il mondo che vi hanno messo mano mancano generalmente di una conoscenza approfondita del simbolismo esoterico. Prova ne sia la formula 316 dei Testi delle Piramidi, ritrovata nella piramide di Unas e tradotta da ben tre luminari di egittologia (Louis Speleers, belga, R.O. Faulkner, inglese, e Paul Barguet, francese), che danno tre versioni notevolmente differenti, nessuna delle quali di senso compiuto (cfr. "Il serpente celeste" di John Anthony West, pagg. 153-160, ediz. Corbaccio, 1999).
Le difficoltà di una traduzione esotericamente corretta e la probabile inadeguatezza di linguaggio, rendono difficile trovare un'esplicita allusione alla pratica del Fosfenismo nell'antico Egitto, come d'altronde accade nelle altre tradizioni, anche più vicine a noi. Se però analizziamo il testo originale, scevro da qualunque interpretazione classica, e ci sforziamo di penetrare nel modo di pensare dell'antico egiziano con un'analisi etimologica dei termini originari potremmo avere delle sorprese.
L'analisi che segue non ha la pretesa di spiegare tutto, tanto più che parecchi simboli ci sono ancora oscuri. La mentalità dell'egiziano antico è inoltre molto diversa da quella dell'uomo occidentale, e per comprenderla almeno in parte occorre fare uno sforzo di immaginazione per slegarli dalla logica spazio-temporale che ci caratterizza oggi. Ogni concetto nasconde significati molteplici, che coesistono e non si annullano anche quando apparentemente sembrano in contraddizione. Le leggi della natura si applicano a tutti i livelli dell'esistenza, da quella più materiale e concreta a quella più sottile. Applicare correttamente una legge della natura e dell'universo nel microcosmo consente di cogliere il segreto che si cela dietro fenomeni cosmici molto più ampi e misteriosi.

Sulle tracce dei fosfeni
Appurato che Osiride (Usir in egiziano) identifica l'iniziato, non può sfuggirci che il suo colore è il verde, come il colore della prima fase del fosfene: possiamo intravedere qui un suggerimento all'utilizzo dei fosfeni per accedere alla via iniziatica? In fondo il geroglifico che esprime il suo nome è composto dal simbolo del trono (la sede) accompagnato da un occhio, l'organo che consente di ottenere i fosfeni (e l'occhio è un simbolo del Sole Ra). Si potrebbe obiettare che è normale che Osiride, essendo anche la divinità della vegetazione, sia caratterizzato dal colore verde. La vegetazione è simbolo di rinascita, del ciclo perenne della natura. A questo proposito però sottolineiamo che gli egizi avevano una rara e magnifica capacità di condensare in un unico simbolo caratteristiche apparentemente slegate che però ad un'osservazione attenta rivelano una stretta connessione, svelando aspetti che si chiariscono reciprocamente. Una interpretazione perciò non esclude l'altra. Grandi osservatori della natura, sapevano riunire in un simbolo le sue leggi, e questo simbolo non era convenzionale, ma profondamente universale.
Per fare un esempio, possiamo citare alcuni termini:
meh Questo vocabolo significa contemporaneamente: "luna piena", "lino" e "nord", termini apparentemente slegati. Eppure la pianta del lino cresce meglio se è esposta a nord, quindi non ai raggi diretti del sole, ma piuttosto sotto l'influenza della luna.

Mut nome della divinità sposa di Amon, ma che significa anche "madre" e "morte": la madre, mettendo al mondo il proprio figlio, è anche colei che ne impone la morte. Questo termine significa anche "vaso sanguigno. Canale conduttore". Da questa stessa radice hanno preso origine i moderni termini in diverse lingue: "mother", "mère", "madre". E Maria, la madre di Gesù…

Anche l'inversione del nome può dare ulteriori chiarimenti sul suo significato profondo; ad esempio
ais cervello; viscere della testa e del ventre. Intelligenza comparativa. L’inversione delle lettere dà sàa (o sia),  che è la coscienza del cuore. Mette in rapporto la cosa percepita con  ciò che in noi vi corrisponde. E’ l’intelligenza intuitiva,  l’intendimento del cuore, il “confondimento” con ciò che si percepisce.

ner  è l’attività propria di ogni cosa, la potenza della sua natura e del  suo nome. Pronunciare il nome esattamente significa liberare l’energia.  Alla lettera n, onda vibrante che porta e trasmette energia, si unisce  il valore attivo ed emittente di r: ner è “l’energia quantificata”, cioè  manifestata.
L’inversione dà ren,  il nome racchiuso nella corda infinita del divenire. E’ il nome, la cui  energia ner può essere liberata pronunciandolo esattamente.

ra = bocca. E’ una delle sette porte della testa, è la porta che riceve gli alimenti ed emette il Verbo-parola. Genericamente rà significa porta, entrata, apertura L’inversione dà ar = creare, fare.
C'è qui un chiaro riferimento al potere creativo del Verbo, e il suono è vibrazione…

Sappiamo che gli esercizi iniziatici del fosfenismo legano il ritmo al fosfene (ritmo-fosfenismo). Possiamo trovarne traccia nella cultura egizia?
In base a quanto emerge dai documenti che ci sono arrivati, gli egizi non attribuivano alcuna importanza al cervello, tanto che prima dell'imbalsamazione esso veniva estratto dalle narici con un uncino, provocandone la distruzione, e non veniva conservato in nessun modo, a differenza di altri organi interni (stomaco, intestino, polmoni e fegato, conservati accuratamente nei vasi canopi). E' curioso però notare che il disegno dello scarabeo, Kepri, neter del sole del mattino e simbolo di evoluzione e di trasformazione, ricorda chiaramente la forma del cranio con i due emisferi cerebrali.

La sede dell'intelligenza era per gli egizi il cuore, e in parecchi testi si fa riferimento all' "intelligenza del cuore". Si trattava chiaramente dell'intelligenza intuitiva, sottile, e non dell'intelligenza ragionante. In egiziano cuore si dice ib (o ab), e altri suoi significati sono "ritmo, assetato, desiderio, danza". Il cuore con il suo battito è sicuramente sinonimo di ritmo, un ritmo che ciascuno può sperimentare in sé, il ritmo della vita. Di qui il significato di danza, che deve seguire necessariamente un ritmo. Perennemente assetato del sangue che pompa nell'organismo per mantenerlo in vita, diventa anche sinonimo di desiderio.  Ma se traducessimo la nostra "intelligenza del cuore" con "intelligenza del ritmo"? Ecco che può emergere un significato nuovo: il ritmo è sorgente di intelligenza, di conoscenza, di evoluzione spirituale…
Non dimentichiamo inoltre che le divinità preposte all'iniziazione, tra cui Bes e Hathor, sono contraddistinte e individuate da uno strumento musicale (il sistro per Hathor e tamburo, timpano, lira o flauto per Bes). Ritmo e iniziazione sono dunque strettamente legati, e sempre sottomessi al controllo di Maat, il neter femminile della Verità e Giustizia che presiede alla precisione di tale ritmo…

Abbiamo un'altra traccia: il Duat, l'aldilà, è raffigurato dal geroglifico di una stella racchiusa in un cerchio. L'aldilà è nel cielo si potrebbe pensare, e l'interpretazione sembra tanto evidente quanto banale; è indubbio che gli egiziani avessero anche un culto stellare e che secondo la loro tradizione il Faraone una volta morto sarebbe asceso al cielo ricongiungendosi agli spiriti imperituri nella costellazione di Orione.


sba = stella, porta, insegnamento  

Ma stella in egiziano si dice sba, che ha tra gli altri suoi significati anche "insegnamento" e "porta". Potremmo azzardare quindi un'altra interpretazione: le stelle possono darci un insegnamento (e la conferma ci viene dagli studi attuali sulla formazione delle stelle e dalla inesauribile energia che si forma, apparentemente dal nulla, durante il loro ciclo), indicandoci come creare in noi stessi un flusso di energia continua ed infinita; le stelle possono essere la porta che si schiude per farci penetrare in un mondo non fisico, fatto di pura energia.

Un manuale iniziatico
Guardiamo più da vicino il "Libro dell'AmDuat". Come abbiamo detto può essere inteso come un manuale iniziatico, che racchiude nelle sue dodici ore le dodici fasi che il candidato all'iniziazione deve affrontare. Vedremo ora come ciascuna ora nasconde gli esercizi e l'attitudine che devono essere osservati da chi si accinge a seguire le loro istruzioni.

Ora I
E' la fase iniziale del percorso. Si dice che l'iniziando deve avere l'atteggiamento del cadavere (iuf), quindi passivo, rinunciando a ciò che la ragione suggerisce.


iuf = cadavere

E nello stesso tempo ci informa che questa esperienza è probabilmente quella che sarà vissuta nel momento del distacco definitivo dalla Terra. L'immagine più significativa è quella detta dello Spartiacque. La colonna centrale, simbolo della colonna vertebrale, è attraversata da due serpenti, che rappresentano la corrente serpentina di Kundalini che sale lungo il tronco. L'arrivo è segnato da due corna (wpt), sopra le quali si trova una mummia. Questa immagine ricorda molto da vicino il Caduceo Ermetico. Il simbolo delle corna indica sempre l'illuminazione (wpt = aprire, sommità del cranio), ed è indice del risveglio di Kundalini. Stessa cosa per tutti gli animali che portano le corna, dalla vacca di Hathor all'ariete, simbolo di Amon. E infatti il personaggio che si accinge a compiere il percorso delle 12 ore ha la testa d'ariete, con le corna sormontate da un disco solare. Questo personaggio, con le corna d'ariete allargate, è anche un simbolo per rappresentare il Ba, cioè l'anima.
La Barca su cui ritrova rappresenta il suo mezzo di trasporto, quindi il corpo fisico, e ci informa inoltre che l'energia tipica di questa fase è paragonata all'acqua. Lo accompagnano diversi personaggi che rappresentano le facoltà di cui l'iniziando ha bisogno per compiere il tragitto con successo. Tra di essi vediamo "Colui che schiude i cammini", "la Conoscenza" e "la Volontà".
La Prima Ora è un po' come una dichiarazione di intenti: il candidato deve raggiungere il risveglio di Kundalini, forza serpentina che provocherà l'apertura del chakra alla sommità del cranio, facendogli ottenere l'illuminazione grazie alla forza del disco solare (cioè dei fosfeni).
Un altro particolare importante è rappresentato da quattro "pietre" confinarie con testa umana, indicate come "ordine di Ra", Ordine di Atum", "Ordine di Kepri" e "Ordine di Osiride", cioè le quattro forme del Sole: può essere un riferimento alle quattro fasi del fosfene?

Ora II
La Barca solare, al cui equipaggio si sono aggiunti due urei (serpenti), procede preceduta da altre quattro imbarcazioni. La prima di esse viene indicata come la "Barca del dio del grano Nepri". A rinforzare il concetto del "grano" sono presenti inoltre altri personaggi con il simbolo del grano sulla testa o in mano. Non può sfuggire la similitudine con i Misteri di Eleusi, in cui il candidato all'iniziazione veniva introdotto in una grotta in cui doveva fissare una torcia e poi pensare ad una spiga di grano. Il grano al vento ondeggia e impregna l'osservatore di un ritmo suscettibile di innescare i fenomeni fosfenici. Non si tratta solo di una supposizione, perché in questa ora è presente anche la raffigurazione di Osiride Unnofre (un-nefer = "colui che ha raggiunto la perfezione") e sappiamo che la radice unnu significa "ondeggiamento, oscillazione, ritmo" ("La dottrina segreta nell'antico Egitto", J. Klunius, Tipografia Veneta, 1961).

Ora III
Compaiono le "pupille" di Ra, sfere portate da più di un personaggio nelle scene raffigurate. La parte più interessante rappresenta un personaggio sormontato dal disco solare che emana dei raggi che sostiene con le mani la "pupilla" all'altezza del coccige di una mummia in piedi. Potrebbe forse indicare la forza del fosfene (la pupilla, cioè la parte attiva dell'occhio del sole Ra) che sale lungo la colonna vertebrale della mummia (colui che deve risvegliarsi)? Di fronte alla mummia si osserva un personaggio piegato a 90°: può essere l'indicazione di un dondolamento?

Ora IV
Improvvisamente il paesaggio cambia: non c'è più acqua e il personaggio-sole si muove in un deserto di sabbia, il Ro-Stau, il regno di Sokar "la cui immagine non può essere vista né percepita". La barca si trasforma in un serpente, più adatto a muoversi in un simile territorio. Protagonista di questa ora è la voce: l'iniziato ha il comando di questa fase utilizzando la sua voce. E' un'indicazione dell'importanza dei mantra?
Si fa inoltre riferimento ad un essere antropomorfo detto "Cielo Interno", Knu Pet, sormontato dal disco alato di Kepri e seguito dalla dea Maat. Occorre osservare il proprio "cielo interno", e se il cielo terrestre è caratterizzato dal Sole, il cielo interno è caratterizzato dal fosfene.
La porta che conduce in questa Ora si chiama "Colei che taglia l'unione con la Terra" (Des Sma Ta). Il candidato all'iniziazione non ha più la Barca, cioè il suo corpo fisico, ma deve cambiare mezzo di trasporto. E' un chiaro riferimento allo sdoppiamento, al distacco del corpo sottile dal corpo fisico. Questa esperienza fa toccare con mano la realtà del mondo sottile, di un mondo diverso da quello materiale che solitamente viene considerato l'unico.

Ora V
Prosegue il passaggio nel territorio arido di Sokar. Si aggiunge al corteo la divinità funeraria Amentit, che sottolinea ulteriormente l'analogia di questa fase con lo stato di morte apparente, e non con la morte fisica dato che, sin dall'ora precedente, la divinità alla testa della processione che precede l'imbarcazione-serpente si chiama "La Signora della Vita".
Evidenziamo inoltre che la radice sqr da cui deriva il nome di Sokar, significa anche "respirare".
Il nome di questa ora è "La guida in mezzo alla sua barca", e ricorda curiosamente il nome di un decano (spicchio di 10° della suddivisione dello zodiaco) che è "Colei che è al centro della sua barca". I decani rappresentavano specifiche zone geografiche del cielo, e la zona corrispondente a questo particolare decano, il quindicesimo dopo Sirio, indica un'area del cielo vicina al "centro galattico", caratterizzato dalla frequente comparsa di stelle "novae". Sappiamo grazie al dott. Lefebure che il processo di formazione di una "nova" è esattamente quello che ci permette di produrre una potente forma di energia in grado di produrre "l'illuminazione".

Ora VI
Torna la Barca come mezzo di trasporto. Il candidato all'iniziazione riprende possesso e dominio del proprio corpo fisico.
Thoth, dea con braccia in direzione opposta con due "pupille" in mano. Il numero che si ripresenta è il 4: 4 gruppi di 4 divinità (16 in totale); compaiono anche il numero 3 e il 9. Il serpente Mehen si trasforma in cabina di protezione.

Lasciamo le ultime sei ore all'approfondimento degli studiosi.


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